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La ricchezza ha vinto: l’uguaglianza è morta

2 ottobre 2014 1 commento

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La ricchezza ha vinto: l’uguaglianza è morta
di Furio Colombo | 28 settembre 2014Commenti (620)
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Più informazioni su: Capitalismo, Diritti Civili, Governo Renzi, Matteo Renzi, Poteri Forti, Ricchezza, Sergio Marchionne.

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Mi ha sorpreso, durante il viaggio americano di Renzi, leggere delle lodi e del compiacimento dedicati al primo ministro italiano da Marchionne, che intanto, per precauzione, ha portato via la Fiat dall’Italia. E ascoltare l’elogio di Renzi al “Made in Italy” della nuova azienda ex italiana, insediata a Detroit (Michigan), e intanto spiegare a Marchionne che in Italia solo i “poteri forti” si oppongono alla sua legge contro il lavoro detta “Jobs Act”. Evidentemente i poteri forti sono Landini e Camusso, Fassina e Cuperlo (con i loro miti ritocchi). E intanto Renzi stava festosamente accanto alla persona che ha sottratto all’Italia l’intera tassazione Fiat. C’è un insegnamento in questa serie di modesti eventi. C’è la storia del come si liquida l’uguaglianza, mito e fatti. Provo a raccontare.

La vera guerra che attraversa il mondo è la guerra all’uguaglianza. È accaduto questo: la ricerca dell’uguaglianza come traguardo necessario ma anche ragionevole, in un mondo di pace, era cominciato nel dopo guerra del secolo scorso, e tendeva a diffondersi, un continuo, cauto lavoro di ridistribuzione della ricchezza, senza conflitti, senza lotta di classe, attraverso carte costituzionali, partiti, parlamenti, centri di studio, volontariati. Stava diventando “comune” l’idea che una persona non dovesse soffrire più di un’altra, senza rapporto col reddito. Come la scuola per tutti, che non è affatto peggiorata e ha fatto fare un salto in avanti alla cultura (il più grande nell’epoca industriale), fino ad ammassare folle di cittadini davanti ai musei. Come le case, Si è cominciato a costruirle per chi non avrebbe potuto farlo. E le auto che costavano poco.

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L’avvicinarsi dell’uguaglianza, non più un ideale ma un fatto, aveva dato scopo e forza alle istituzioni, e senso di appartenenza ai cittadini. Il mondo accennava a essere, come si usava dire, “un mondo migliore”. Conviveva con i mercati, e li sosteneva a causa dell’ottimismo. Ma ai mercati veniva posto il limite di non decidere sulla vita delle persone. In molti casi gli Stati facevano da guardiani. Fino a un certo punto, d’accordo. Ma è in questo clima di marcia di tutto il mondo democratico verso l’uguaglianza (che la democrazia, di per sé, non assicura) è diventato inevitabile garantire i diritti umani e i diritti civili o comunque battersi per essi, ha provocato l’opposizione giovane e popolare alle guerre, ha provato a garantire allo stesso modo l’imprenditore che offre il lavoro e colui che, per vivere, è il prestatore d’opera, ha invogliato, sia pure entro limiti ancora ristretti, il finanziamento per la casa della famiglia giovane, il prestito per lo studente povero, le cure mediche quando sono troppo costose ma indispensabili.

Come è finito tutto questo? C’è chi dice che la caduta del Muro ha tolto ogni restrizione al “capitalismo buono”. La rimozione di rischi e pericoli lo ha riportato alle origini, ognuno per sé. L’altra versione è che due fatti nuovi, la globalizzazione e la trasformazione del danaro in danaro senza passare per la fabbrica, hanno cambiato di colpo la scena della vita: per il lavoro vai a cercarti gli schiavi dove costano sempre meno (e prima dello sciopero viene l’incendio del ghetto-fabbrica, che elimina un intero organico compresi i bambini illegalmente in servizio) e il nuovo accesso al danaro. La sua capacità di salire attraverso moltiplicazioni prive di controllo, verso ricchezze più grandi, ridicolizza i mille vincoli sul dare e avere lavoro. Tanto che dopo, nell’era di Renzi, quei vincoli li puoi inventare a caso, senza rapporto con fatti e persone vere, e senza che abbiano nulla a che fare col creare posti di lavoro. È un prendere o lasciare che non offre vie d’uscita a chi non può lasciare. Non c’è bisogno di dire (e sarebbe ridicolo) che Renzi partecipa alla grande operazione mondiale di fine dell’uguaglianza. Semplicemente è uno che ha visto quanto potere puoi gestire se fai l’agente per l’Italia della grande offensiva contro l’uguaglianza (riempiendo il vuoto di “nuovi diritti” che non garantiscono niente).

I fatti dicono questo. Il mondo ricco è impegnato a ristabilire le distanze: chi non possiede deve stare molto più in basso, chi sta sopra non può essere raggiunto da fastidiosi controlli che disturbano il moltiplicarsi della ricchezza, le tasse per il minimo concesso di servizi sociali, (debitamente tagliati) sono a carico esclusivo dei non abbienti.

Intanto bisogna cancellare subito diritti e speranze che adesso si chiamano con spregio “ideologie” o, al massimo, “miti”. Tutto ciò ha alcune conseguenze immediate. L’informazione perde fonti (troppa distanza fra alto e basso della torre sociale) e acquista padroni (serve avere stampa e Tv, non per muoverla ma per tenerla ferma e distratta). La corruzione sfugge facilmente ai controlli. In una rivoluzione vinta dalla ricchezza, diventa sempre più difficile distinguere un tipo di ricchezza dall’altro (tra loro le ricchezze tendono a rispettarsi e a fare affari). La magistratura appare un ingombro pretenzioso e inutile, ed è in corso uno sforzo per rimuoverla di fatto dal ruolo di terzo potere della democrazia. Del resto questo sforzo svela l’altro, di svilire o con l’abolizione o con l’umiliazione, il potere delle Camere, in modo da scavare un vallo protettivo intorno al potere esecutivo. È il momento di rafforzare il conducator, attraverso l’elezione diretta e la trasformazione in Stato presidenziale.

E così siamo giunti all’esito del lungo viaggio per la cancellazione dell’uguaglianza. Che la Costituzione ne faccia un pilastro non è più un problema. Anche la Costituzione è sotto l’impalcatura dei “lavori in corso”.

Categorie:opinioni

Verona, il cimitero verticale è un crimine contro il buon senso

2 ottobre 2014 Lascia un commento

Verona, il cimitero verticale è un crimine contro il buon senso
di Jacopo Fo | 29 settembre 2014Commenti (144)
Più informazioni su: Cimitero Monumentale, Flavio Tosi, Grattacieli, Legge, Risparmio, Verona.

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Ma il criminale non è il sindaco ma la legge. E il silenzio dei media.

È uscita la notizia che forse a Verona costruiranno un cimitero-grattacielo: 34 piani, posto per 60.000 salme.
Il costo sarà ovviamente esorbitante. Ma la colpa di un progetto tanto demenziale non è dell’amministrazione pubblica ma di una legge, unica al mondo, che regola la costruzione dei cimiteri.
Ho cercato di spiegare come funziona a David, un amico scozzese e non riusciva a capire.
Come fai a spiegare che in Italia siamo talmente pazzi da avere una legge che impone di seppellire i morti nel modo più costoso del mondo?
In tutte le nazioni normali i cimiteri sono grandi appezzamenti di terreno dove si scavano le buche per seppellire le bare.
In Italia è obbligatorio costruire un’enorme scatola di cemento armato, con una recinzione muraria alta 2 metri tutto intorno. E questa struttura di cemento è obbligatoriamente dotata di sofisticati sistemi di drenaggio. Poi lo spropositato scatolone di cemento viene riempito di terra e poi le buche vengono scavate lì. Ovviamente questo moltiplica per 10mila volte i costi per la costruzione di un cimitero rispetto al resto del mondo, visto che gli altri non costruiscono nulla, scavano solo dei buchi nella sacra terra.
Il costo di produzione di un metro quadrato di cimitero è così talmente oneroso che sono stati inventati i loculi disposti a più piani, per ammortizzare le spese.
Quindi la proposta che il sindaco Flavio Tosi sta rendendo operativa ha una sua logica, per quanto sia assurda: visto che la legge obbliga alla costruzione di una costosissima cattedrale rovesciata in cemento, che al comune costa una fortuna, diventa conveniente vendere il servizio a un privato e autorizzarlo a costruire un cimitero grattacielo. Un guadagno per gli imprenditori, per l’amministrazione pubblica e cento posti di lavoro. Cosa c’è di male?

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Il male è la legge italiana che obbliga amministrazioni pubbliche e cittadini a costi spaventosi. Le sepolture italiane costano enormemente più che all’estero proprio per l’obbligo di costruire i camposanti in modo pazzesco.
E, doppia idiozia, le Asl obbligano a comprare bare di zinco rivestito di legno: scatole ermetiche che non possono avere nessun tipo di perdita di liquami perché, come si sa, lo zinco è completamente impermeabile.
Quindi che senso ha?
Nessuno!

Di fronte a una simile mancanza di logica mi sono chiesto come fosse possibile che una tale idiota legge persistesse a esistere.
Sono però 20 anni che scrivo sui giornali e racconto in tv di questo sperpero di denaro. Ne ho anche parlato con parlamentari di tutti i partiti e movimenti progressisti.
E ho sperimentato il fatto che questa questione non interessa nessuno.
Ma come è possibile?
Non lo so.
L’unica ipotesi è che in Italia a parlare di morte c’è il rischio di passare per uno che porta sfiga. Siamo o non siamo il popolo più scaramantico del mondo? Così il giornalista che scopre questa storia si dice: ma chi me lo fa fare che poi la gente fa le corna dietro la schiena quando passo? E poi butta l’articolo sui cimiteri nel cestino. E lo stesso fanno i parlamentari con i disegni di legge che propongono la cancellazione di quest’obbrobrio.
E gli italiani continuano a buttar via soldi per le sepolture.

Per inciso, da tre anni offriamo la sepoltura delle ceneri gratis ad Alcatraz, in mezzo a un bosco stupendo, diviso per aree di interesse (area cantanti, appassionati di letteratura e scrittori, idraulici e ecotecnologi, giardinieri e orticultori, acrobati e clown eccetera). Un modo per offrire alle famiglie un sostanzioso risparmio economico in un momento di crisi. Quante persone hanno usufruito di questa piacevole opportunità di risparmio? Nessuna.
Misteri insondabili.

Se a questo punto stai facendo spallucce perché non ti sembra un tema importante ti invito a riflettere: veramente vuoi stare tutto il tempo che passerai da morto in un alveare di cemento con sopra un commercialista scoreggione e sotto il vigile urbano che ti dava le multe, a sinistra un imprenditore alcolizzato e a destra la donna più noiosa del circondario? Se ti accontenti sono fatti tuoi.
Io per me voglio passare l’eternità con gente che capisce le mie passioni e che mi racconta cose interessanti. Voglio dire…Già è una palla essere morti…

A Hong Kong dilaga la protesta dei giovani

2 ottobre 2014 1 commento

A Hong Kong dilaga la protesta dei giovani che chiedono più democrazia alla Cina

29 settembre 2014Commenti (1)
IN QUESTO ARTICOLO

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Argomenti: Hong Kong | Tania Willis | Stati Uniti d’America | Agence France Presse | Benny Tai Yiu-ting | Occupy Central | Barack Obama | Occupy Wall Street | Pechino

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(Afp)
(Afp)
Dilaga la protesta a Hong Kong per chiedere maggiore democrazia e gli occhi del mondo sono tutti puntati sull’ex protettorato britannico passato alla Cina nel 1997. Ma intanto la Cina ha intimato agli Stati Uniti e alle altre nazioni straniere, di non interferire negli affari interni di Hong Kong, perché si tratta di una questione interna cinese. Ignorando gli appelli del governo, migliaia di persone continuano a rimanere nelle strade e adesso Pechino si trova ad affrontare una delle sfide politiche più impegnative da piazza Tiananmen, 25 anni fa.

Lungi dal diminuire, il numero di manifestanti è cresciuto di ora in ora ed ora. Sfidando il rischio di raffiche di gas lacrimogeni e i manganelli, migliaia di manifestanti continuano le loro protesta e si preparano a trascorrere una seconda notte all’addiaccio. Quando è arrivato il buio, migliaia di manifestati che stanno bloccando le strade principali hanno illuminato i propri telefoni cellulari, creando una onda luminosa lungo tutto il quartiere degli affari di Admilralty, cercando di creare una atmosfera di festa, dopo gli scontri con la polizia del fine settimana appena trascorso.

FOTO
Hong Kong bloccata dalle proteste

Quaranta feriti, 78 arresti
Il bilancio è di una quarantina di feriti, di cui 12 poliziotti, e di 78 arresti. Per oggi le autorità di Hong Kong hanno deciso di ritirare la polizia anti-sommossa, come gesto distensivo, chiedendo in cambio a chi protesta di «liberare le strade occupate per permettere il passaggio ai mezzi di emergenza e ristabilire il trasporto pubblico locale».

Per la giornata di domani, intanto, è stato annunciato che le scuole di due quartieri del centro resteranno chiuse. Secondo l’agenzia Afp, i manifestanti raccolti fino al pomeriggio nella zona di Admiralty, non lontano dalla sede del governo, erano circa 20mila.
Ombrello simbolo della protesta
Ottimo per proteggere sia dal sole cocente che dal lancio di lacrimogeni, l’ombrello è diventato l’accessorio indispensabile dei ragazzi che stanno bloccando il centro di Hong Kong e simbolo stesso del movimento di disobbedienza democratica. Tanto che in queste ore ormai sui social media la protesta è già diventata «l’umbrella revolution», grazie anche alla creatività, messa al servizio della causa, da artisti, designer e semplici naviganti della rete. Tra questi Angelo Costadimas, artista e filmaker che vive ad Hong Kong, che ha realizzato un logo che mostra un uomo che tiene due ombrelli sulla scritta “Umbrella revolution” su uno sfondo giallo, il colore dei nastri che gli studenti usano come simbolo della democrazia. Intervistato dal South China Morning, Costadimas ha detto di essersi ispirato alla foto un dimostrante che, con due ombrelli in mano, sfidava il lancio dei lacrimogeni. «L’atto di sfida mi ha ricordato la foto dell’uomo che sfida i carri armati di Piazza Tiananmen – ha detto – ed ho pensato che l’ombrello e quell’aria di sfida fossero veramente simboliche».

Categorie:mondo, opinioni, politica

Lavoro, al via la discussione in Senato.

2 ottobre 2014 Lascia un commento

Il premier Matteo Renzi (Ansa) Il premier Matteo Renzi (Ansa) Articoli correlatiRenzi irride D’Alema: ogni volta che parla guadagn…L.Stabilità , Renzi: stiamo studiando meccanismo c…Lavoro, Renzi: “La riforma la facciamo comunque, Ã…Lavoro, Renzi: Cgil in piazza? Noi alla Leopolda. …Jobs act, è scontro. Slitta discussione in SenatoLavoro, al via la discussione in Senato. Renzi: “Riforma a breve”. Sul Tfr in busta paga: “Saranno 180 euro in più”
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La riforma del lavoro voluta dal governo Renzi inizia il suo iter nell’aula del Senato. Ha preso il via la discussione generale sul Jobs act. Le prime votazioni sul testo da parte dell’Assemblea di Palazzo Madama sono previste a partire dalla prossima settimana.Renzi attaccaD’Alema – A meno di 24 ore dal trionfo nella direzione del Pd che ha sancito il via libera alla riforma del lavoro, Matteo Renzi si prende anche la sua rivincita personale nei confronti di Massimo D’Alema che lunedì sera lo aveva attaccato duramente. “D’Alema se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, tutte le volte che parla guadagno un punto nei sondaggi” ha detto il premier in un’intervista a Ballarò, in onda martedì sera.Con Tfr problema liquidità, a pmi soldi della Bce – “Il tfr così com’è c’è solo in Italia. Se diamo il tfr in busta paga si crea un problema di liquidità per le imprese. Le grandi ce la fanno, le piccole sono in difficoltà. Stiamo pensando di dare i soldi che arrivano dalla Bce alle pmi per i lavoratori” ha detto Renzi parlando della proposta avanzata negli ultimi giorni per aumentare il reddito disponibile dei lavoratori e rilanciare la domanda dei consumi. “Sulla base di questo – ha spiegato Renzi – stiamo ragionando sul fatto che l’Abi, l’associazione delle banche, possa dare i soldi che arrivano dall’Europa, quelli che chiamiamo i soldi di Draghi, esattamente alle piccole imprese per garantire liquidità: questo garantirebbe al lavoratore di avere un po’ più di soldi da spendere”. Il premier ha anche ribadito che “sicuramente nella legge di stabilità metteremo 1,5 miliardi per gli ammortizzatori sociali, per cambiare il meccanismo delle tutele, delle difese. Daremo una mano vera alle persone”. E spiega: “Anzichè tenere i soldi da parte alla fine del lavoro, preferisco darteli tutti i mesi. Significa che, per uno che guadagna 1.300 euro, un altro centinaio di euro al mese che uniti agli 80 euro inizia a fare una bella dote: circa 180 euro”.Cgil in piazza? Ci risolve problema, noi alla Leopolda – Renzi ha liquidato con ironia anche l’intenzione della Cgil di scendere in piazza per protestare contro la riforma del lavoro disegnata dal Pd. “Quando la Cgil sarà in piazza, mi sembra che hanno detto il 25 ottobre, noi saremo a fare la Leopolda. Ci hanno anche risolto il problema di chi ci fa la manifestazione contro” ha detto il presidente del Consiglio. “Ho grande rispetto per i sindacati ma dove erano negli anni in cui i diritti dei ragazzi venivano cancellati?” ha aggiunto Renzi nel corso dell’intervista con Alessandro Poggi per Ballarò. “I sindacati – ha proseguito – negli anni in cui si creava precariato non c’erano. Tornano in piazza ora? Bene! Viva! Che bello! Io nel frattempo non mollo e continuo a cercare di cambiare un Paese che ha bisogno di avere forse un po’ meno discorsi astratti e un po’ più proposte concrete come stiamo facendo noi”.Riforma lavoro è questione di giorni – “E’ normale che adesso la riforma la facciamo comunque, anzi, a maggior ragione” dopo la direzione Pd. “Abbiamo votato, ora la riforma del lavoro è questione di giorni, non è più di anni come in passato” ha detto Renzi. “La cosa che a me più colpisce sono quelli che dicono che non dobbiamo fare niente. Perdono una grande occasione”. Poi un messaggio a D’Alema. “Grande stima e rispetto per D’Alema, però per piacere evitiamo di continuare con le polemiche e con le assurdità”. “Se quando al governo c’era D’Alema avessimo fatto la riforma del lavoro come hanno fatto in Germania o nel Regno Unito non saremmo ora a fare questa discussione”.Il lavoro è dovere, i licenziamenti sono una sconfitta – “Per me il lavoro non è un diritto ma è molto di più, è un dovere. Questa è ancora più forte come affermazione. Quando una persona perde il posto di lavoro è una sconfitta per tutti”. “Dobbiamo occuparcene – prosegue – non solo per i soliti noti ma anche per chi il lavoro lo ha perso. Bisogna però avere il coraggio di ragionare di chi, in questi anni, non ha mai sentito vicina la politica: i precari, le mamme che non avevano i diritti, il cassintegrato di 55 anni buttato fuori”.Con Berlusconi solo riforme ma governiamo noi – “Con Berlusconi abbiamo fatto un patto per la legge elettorale e per la riforma della Costituzione perché le riforme si scrivono tutti insieme. Poi stiamo governando noi che, con tutti i nostri limiti, siamo un partito che sta cercando di cambiare l’Italia e di fare quelle cose che in 20 anni non sono state fatte” ha detto Renzi. “Con Berlusconi abbiamo fatto un patto per la legge elettorale e per la riforma della Costituzione perché le riforme si scrivono tutti insieme. Poi stiamo governando noi che, con tutti i nostri limiti, siamo un partito che sta cercando di cambiare l’Italia e di fare quelle cose che in 20 anni non sono state fatte”.

Categorie:lavoro, opinioni, politica

Lavoro e art.18, è scontro a sinistra.

19 settembre 2014 Lascia un commento

Lavoro e art.18, è scontro a sinistra. Camusso: ‘Renzi è come la Thatcher’. Lui: ‘Difendete solo le ideologie’ / VIDEO

Il governo non punta al dl ma al sì del Senato alla legge delega entro ottobre. Il leader della Cgil all’attacco: “Chi vuole cancellare l’art.18 vuole cancellare la libertà dei lavoratori”. E lui replica: “Non vi interessano le persone”. Ichino: “Fare la riforma anche senza i sindacati”
Lavoro, il video di Matteo Renzi Lavoro, il video di Matteo Renzi
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Milano, 19 settembre 2014 – Il governo non punta ad un decreto con le nuove norme sul mercato del lavoro entro l’8 ottobre, bensì all’approvazione della legge delega da parte del Senato entro quella data, cosa che rappresenterebbe un “segnale” all’Ue. A spiegare le intenzioni dell’esecutivo Filippo Taddei, responsabile economia del Pd. La leader della Cgil Susanna Camusso ribatte: “Non stiamo difendendo noi stessi: chi vorrebbe cancellare l’articolo 18 sta cancellando la libertà dei lavoratori. Renzi ha troppo in mente il modello della Thatcher”. Pronta la replica del premier: “Difendete solo le ideologie non le persone”. Il giuslavorista e senatore di Scelta civica Pietro Ichino non vede soluzioni diplomatiche: “Bisogna fare la riforma del lavoro anche senza i sindacati, se i sindacati non capiscono l’importanza”. E Bersani promette “battaglia”.

TADDEI – “Prima di arrivare a un decreto – ha detto Taddei -, cerchiamo di fare una discussione ordinata. Abbiamo una delega che è una riforma complessiva del mercato del lavoro, mentre si cerca di banalizzare tutto in un derby ‘si” o ‘no’ all’articolo 18, come se fosse questo il problema. Il mio obiettivo è favorire una pronta applicazione della delega che peraltro ieri è stata approvata dalla Commissione del Senato. Capisco che nella politica sconclusionata italiana ognuno deve vantare un enorme successo. Ma per me conta un solo successo, quello di una riforma che cambia gli ammortizzatori sociali, la formazione dei lavoratori”. All’insistenza di Belpietro sull’imminenza dell’8 ottobre, Taddei ha replicato: “Nessuno pensa di approvare la legge delega entro 8 ottobre, ma di dare un segnale di chiarezza. Abbiamo un sistema di due Camere. La commissione del Senato ha licenziato la delega, che martedì entra in Aula, e noi pensiamo sia possibile una discussione ordinata, seria, profonda che coinvolga il Pd e tutti gli altri in modo da arrivare ad approvazione entro 8 ottobre in Senato”. “Questo è un segnale: non pensiamo di fare Senato-Camera-Senato entro l’8 ottobre. Va bene andare veloce ma questo sarebbe Speedy Gonzales”. Infine Taddei ha difeso i contenuti della delega: “prevede un contratto a tutele crescenti rivolto a tutti i nuovi contratti. Significa estendere le tutele in termini di indennizzo monetario a quelli che oggi perdono il lavoro. Significa estendere. Oggi abbiamo lavoratori che vengono licenziati individualmente che ricevono poco o nulla. A questi lavoratori noi oggi vogliamo offrire invece un contesto diverso”.

CAMUSSO – “Mi sembra che il presidente del consiglio abbia un po’ in mente il modello della Thatcher”, dice la Camusso durante l’inaugurazione della nuova sede del sindacato a Milano. “La conseguenza del modello degli ultimi 20 anni – aggiunge – è un sistema fatto di divisioni che ha portato precarietà e non competitività”.

Secondo quanto spiegato dal leader della Cgil, Renzi sembra avere un’idea propria “delle politiche liberiste estreme”, vale a dire la concezione che “sia la riduzione delle condizioni dei lavoratori lo strumento che permette di competere e non, invece, che serva creare lavoro di qualità, di procedere all’innovazione, spingere su investimenti e ricerca”. A giustificare il parallelo Renzi-Thatcher, dunque, sarebbe “il rovesciamento dei fattori: mi ricorda la stagione del liberismo – ha chiarito – le cui conseguenze l’Europa le paga tutt’ora. E continuando ad essere prigionieri della linea dell’austerità e del rigore che,come è noto, non ha risolto la crisi in nessun paese.

BERSANI – “Altro che modello tedesco, Renzi rischia di frantumare i diritti dei lavoratori”. L’ex segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani promette “battaglia” al Senato se non cambierà l’impostazione, con la presentazione di molti emendamenti alla legge delega. Commentando le parole della Camusso, Bersani afferma: “Io preferisco fare un ragionamento diverso: noi abbiamo assolutamente bisogno di una riforma, ma si rischia che si perda l’occasione per una riforma vera. Renzi vuole avvicinarsi al modello tedesco ma così facendo ci stiamo allontanando da quel modello, in questi giorni c’è spazio per riflettere e per fare una riforma seria che riconosca i diritti dei lavoratori e non li cancelli o li frantumi. La riforma ci vuole ma deve essere seria e non certo una bandierina da sventolare di fronte agli elettori o all’Europa”. Quanto al paragone con la Thatcher, l’ex segretario spiega: “Non voglio credere che ci sia l’idea di fare un braccio di ferro inutile e sterile: servono novità. Se il neo assunto non ha tutte le garanzie, come gli altri suoi colleghi, va bene purché sia solo per un breve periodo, però a un certo punto bisogna arrivare alla pienezza delle tutele, compreso – e questo deve esser garantito sin da subito – il reintegro in caso di licenziamento ingiusto che esiste in tutta Europa. Se Sacconi deve innalzare una bandiera, lo faccia pure, è un suo problema, non certo può essere un problema del Pd che piuttosto deve pensare solo a riformare l’Italia”.

​RENZI – “A quei sindacati che vogliono contestarci” io “chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l’ha e chi no, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi precario” perché “si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente”, ha replicato Renzi.

DAMIANO – “Riteniamo opportuno che l’attuale tutela dell’articolo 18, rivista appena due anni fa attraverso un accordo tra Fi e Pd, rimanga anche per i nuovi assunti”, dice il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd).

ICHINO – “Una parte del sindacato – sottolinea invece il giuslavorista Pietro Ichino – è ancora convinto che la sicurezza del lavoratore e il lavoro stesso possano essere dati per legge. Mentre la sicurezza del lavoratore è data da un mercato in cui abbonda la domanda di lavoro, ma per questo dobbiamo aprire il sistema agli investimenti stranieri”. Secondo Ichino non ci sarà un autunno caldo: “Il cuore dell’autunno caldo oggi – dice – ha perso il suo valore. I sindacati minacciano lo sciopero ma non lo fanno, e credo non lo faranno”. “La via maestra – conclude comunque – è fare la legge in fretta e bene come mi sembra che stiamo facendo. Io spero e credo che il Pd sia capace di far digerire questa scelta anche alla propria minoranza”.

DAMIANO – “Riteniamo opportuno che l’attuale tutela dell’articolo 18, rivista appena due anni fa attraverso un accordo tra Fi e Pd, rimanga anche per i nuovi assunti”, dice il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd).

Jobs act, governo: ok a tutele crescenti.

17 settembre 2014 Lascia un commento

Jobs act, governo: ok a tutele crescenti. Sacconi esulta: “E’ riforma dell’art.18”. Camusso: “E’ uno scalpo per i falchi Ue”

Con il deposito dell’emendamento che riscrive l’articolo 4 del Ddl lavoro sui contratti, Governo e maggioranza spingono sull’acceleratore per il varo del provvedimento. Poletti: “Articolo 18? Decideremo con i decreti attuativi”. Cgil: “Sciopero? Nulla è escluso”
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Roma, 17 settembre 2014 – La strada per il superamento dello Statuto dei lavoratori è aperta, ma il nodo su cui da sempre è catalizzato il dibattito politico, quello dell’articolo 18, non è ancora sciolto. Il Governo ha depositato questa mattina in commissione al Senato un emendamento alla legge delega sul lavoro che prevede, “per le nuove assunzioni, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (SCHEDA – Ecco come funziona) in relazione all’anzianità di servizio”. Di certo questo non basta a Susanna Camusso, che riguardo all’articolo 18 affila gli artigli, sostenendo che “rappresenta uno scalpo per i falchi dell’Unione europea” nel corso del comitato direttivo della Cgil.

ART 18 – Un punto a favore dei detrattori dell’articolo 18, poiché in questo modo si elimina il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa per tutti i nuovi assunti, almeno all’inizio del rapporto di lavoro, e si sostituisce con un indennizzo crescente con il crescere dell’anzianità aziendale. Non è escluso però che il decreto attuativo del Governo, che dovrà arrivare entro 60 giorni dall’approvazione della delega, possa prevedere, tra le tutele, il ripristino del reintegro ex-articolo 18 per il lavoratore che abbia maturato un certo numero di anni di anzianità. Un’ipotesi, forse solo teorica, che per il momento consente alla maggioranza di mantenere una posizione unitaria e scongiurare l’ipotesi decreto legge minacciata ieri da Renzi. “Quando faremo i decreti attuativi prenderemo una decisione” sull’art.18, ha detto il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, alla Camera. Il ministro rispondendo ai giornalisti che chiedevano se nell’attesa dei decreti non ci sarebbero state strumentalizzazioni ha risposto “quando sara’ il momento discuteremo anche di questo”.

DEMANSIONAMENTI – Un’altra novità introdotta dall’emendamento è la possibilità per l’azienda di demansionare un dipendente. Il testo, che modifica di fatto l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori, delega il Governo ad adottare “una revisione della disciplina delle mansioni, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della porfessionalità e delle condizioni di vita, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”.

COMPENSI CO.CO.CO – Prevista anche una revisione dei controlli a distanza, al momento vietati dall’articolo 4 dello Statuto, che dovrà tener conto “dell’evoluzione tecnologica” e contemperare “le esigenze produttive e organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore”. Il testo depositato al Senato introduce poi, “eventualmente anche in via sperimentale”, il compenso orario minimo anche per i co.co.co e per i lavoratori subordinati che appartengono a settori non regolati da contratti collettivi. La mediazione che governo e relatore hanno individuato riguarda l’applicazione del nuovo contratto a tempo indeterminato – nel quale le tutele diventano progressive in relazione all’anzianità di servizio – alle nuove assunzioni.

SACCONI SODDISFATTO – “Esprimo piena soddisfazione per il nuovo testo dell’articolo 4 della legge delega sul lavoro. Esso raccoglie le forti sollecitazioni poste da tutti i moderati dell’area di governo a partire da Angelino Alfano che con coraggio ha direttamente posto la necessità della riforma dello Statuto dei lavoratori e in esso in modo particolare dell’articolo 18 con lo scopo di incrementare la propensione a fare impresa e a fare lavoro in un tempo carico di aspettative incerte”, dichiara, in una nota ,il capogruppo al Senato del Nuovo Centrodestra, Maurizio Sacconi.

“Così come va riconosciuto il coraggio del presidente Renzi nel sollecitare una riforma ambiziosa fino al punto di ipotizzarne una anticipazione con un ulteriore decreto legge”, aggiunge. “La nuova formulazione dell’articolo – spiega il capogruppo di Ncd a palazzo Madama – prevede la redazione di un testo unico semplificato sulla disciplina complessiva dei rapporti di lavoro, sostitutivo dello Statuto dei lavoratori con particolare riguardo ai tanto discussi articoli 4, 13 e 18”. “Specifici contenuti di delega sono infatti il superamento del divieto delle tecnologie di controllo a distanza (art. 4), la flessibilità delle mansioni (art.13), la revisione delle tutele del lavoratore nel contratto a tempo indeterminato (art.18)”, prosegue Sacconi.

“La mediazione che Governo e relatore hanno individuato riguarda l’applicazione del nuovo contratto a tempo indeterminato, nel quale le tutele diventano progressive in relazione all’anzianità di servizio, alle nuove assunzioni: il che significa che gradualmente, esaurendosi i contratti in essere, il nuovo contratto a tempo indeterminato a regime sarà per tutti quello ipotizzato”, aggiunge. “E’ evidente che nel contratto tipico che ha oggi oltre l’80 per cento degli italiani la progressività della tutela non potrà che essere un indennizzo proporzionato, o più che proporzionato, al tempo trascorso nell’impresa: non si parla più infatti di una nuova tipologia contrattuale, di una sorta di contratto di inserimento per il quale poteva avere senso la distinzione di due fasi di vita lavorativa”, spiega ancora. “Non posso non ricordare oggi chi come Marco Biagi ha tanto auspicato la riforma dello Statuto dei lavoratori e mi auguro che il Governo, nell’esercizio della delega, saprà tener conto anche dei materiali copiosi che egli ha lasciato sulla base di straordinarie intuizioni”, conclude.

L’EMENDAMENTO – Allo scopo di “rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, il Governo – si legge nel testo dell’emendamento – è delegato ad adottare, su proposta del ministro del Lavoro e delle politiche sociali, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro”.

Tra i principi e criteri direttivi da rispettare, “in coerenza con la regolazione comunitaria e le convenzioni internazionali”, si indica quello di “individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di semplificazione delle medesime tipologie contrattuali”. E, più avanti, “l’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative”.

CAMUSSO – Ma intanto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha chiesto al Direttivo di dare mandato alla segreteria per valutare iniziative di mobilitazione e il primo passo da fare sarebbe aprire una discussione con Cisl e Uil per possibili forme di mobilitazione unitaria, con al centro il lavoro. E’ quanto emerso da fonti presenti al Direttivo. Ad oggi sono state già annunciate alcune iniziative da parte dei diversi sindacati e delle singole categorie. La stessa Cgil aveva espresso l’intenzione di organizzare una manifestazione per il lavoro nella prima decade di ottobre. La Fiom, invece, ha già indicato la data del 25 ottobre, per una manifestazione nazionale da tenersi a Roma, accompagnata da un pacchetto di otto ore di sciopero (ancora da definire). E da ultimo, ieri, la Cisl ha dichiarato la volontà di realizzare manifestazioni territoriali da concentrare per la giornata del 18 ottobre. Sono quindi queste le iniziative in campo mentre la leader della Cgil propone di reagire con una mobilitazione unitaria, tesa a coinvolgere anche gli altri sindacati confederali. “Non escludo alcuna delle iniziative possibili”, risponde la Camusso, alla domanda se lo sciopero sia un’opzione. Camusso spiega come sia stato chiesto un confronto a Cisl e Uil sul punto quindi “prima si discute poi si dicono quali sono le ipotesi”. E aggiunge: “Faremo di tutto” affinché il confronto sia a breve.

BONANNI – L’articolo 18 è una “ossessione. Si vuol dare in pasto all’opinione pubblica una discussione che non ha alcun senso”. Così il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, osservando, a Rai News24, che la Cisl è un “sindacato molto pragmatico: chiediamo a Poletti di rassegnare alle opinione pubblica i dati sulla gestione dell’articolo 18 dalla ultima riforma fatta positivamente ad oggi”.

Giustizia, Davigo: “Riforme inutili, lo Stato smetta di favorire i colpevoli”

13 settembre 2014 Lascia un commento

Giustizia, Davigo: “Riforme inutili, lo Stato smetta di favorire i colpevoli”
“Siamo più produttivi dei tedeschi, ma troppi processi”. L’ex pm di Mani pulite, oggi in Cassazione. “Chi ha torto sa che tirarla in lungo gli conviene. Alla Corte suprema Usa solo 100 ricorsi l’anno”. E la prescrizione? “Deve fermarsi con il rinvio a giudizio”

di Marco Travaglio | 12 settembre 2014Commenti (806)
Giustizia, Davigo: “Riforme inutili, lo Stato smetta di favorire i colpevoli”
Più informazioni su: Cassazione, Csm, Gioenzo Renzi, Interviste, Piercamillo Davigo, Riforma della Giustizia.

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“Riforme inutili”. Piercamillo Davigo, già pm del pool Mani Pulite, ora giudice di Cassazione, lo ripete di continuo (l’ultima volta domenica a Cernobbio) dopo aver letto le linee guida di riforma della giustizia. In questa intervista al Fatto, spiega il perché.

Partiamo dalle ferie dei magistrati: il governo le vuole ridurre di due settimane perché siete i soli dipendenti pubblici che vanno in vacanza 45 giorni e dovete aumentare la produttività.
Intanto non è vero: abbiamo le stesse ferie di un maresciallo anziano dei Carabinieri. E poi non ha senso paragonare i magistrati ai dirigenti della PA. Noi, in vacanza, dobbiamo scrivere le sentenze e i provvedimenti. Le nostre ferie non sospendono mica i termini di deposito degli atti: se ritardiamo, finiamo sotto procedimento disciplinare. Poi gli statali hanno il sabato non lavorativo e gli straordinari, noi no. E non solo: in Procura, quando il pm ha un turno, lavora 36 ore di fila, tanto quanto lo statale tutta la settimana. Ma, finite le 36 ore, mica se ne sta a casa. Misurare a tempo l’attività del magistrato non sta né in cielo né in terra.

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Però gli uffici giudiziari chiudono dal 31 luglio al 15 settembre.
Altra balla. Non chiudono mai. Quella è la sospensione feriale dei termini, che ora viene confusa con le ferie dei magistrati. Gli ospedali non ce l’hanno mica, eppure i medici in ferie ci vanno lo stesso. La sospensione dei termini serve per le vacanze degli avvocati, che altrimenti non si fermerebbero mai, se dovessero depositare gli appelli o le memorie difensive tutto l’anno. Per noi invece i termini decorrono anche d’estate, perché facciamo i turni. Comunque questa storia di aumentare la nostra produttività per legge è insensata a prescindere: anche se fosse possibile, non risolverebbe nulla; e poi i magistrati italiani sono i più produttivi di tutti i 48 stati membri del Consiglio d’Europa.

E questo chi lo dice?
Il rapporto CEPEJ, Commission européenne pour l’efficacité de la Justice, organo del Consiglio d’Europa. L’Italia ha 14,8 giudici ogni 100 mila abitanti, tanti quanti la Francia, contro gli 11,6 del Regno Unito e i 30,7 della Germania. Nel civile, in Germania ogni giudice riceve 54,86 nuove cause e ne definisce in primo grado 78,86; in Francia ne riceve 224,15 e ne definisce 215,67; in Italia ne riceve 438,06 e ne definisce 411,33. Nel penale, un giudice tedesco riceve 42,11 processi e ne chiude 42,91, uno francese ne riceve 80,92 e ne chiude 87,06, un italiano ne riceve 190,71 e ne chiude 181,09. Noi italiani lavoriamo il doppio dei colleghi francesi e il quadruplo dei tedeschi.

Eppure i fascicoli arretrati si accumulano a milioni.
Ma perché facciamo troppi processi, non perché lavoriamo poco! Negli ultimi 30-40 anni i magistrati sono quasi raddoppiati, da 5 a 9 mila, e così le risorse e la produttività. Intanto il contenzioso è triplicato. Mica per colpa nostra: perché da noi tutto finisce davanti al giudice, anche quello che non dovrebbe. L’anomalia non sono i magistrati, ma la litigiosità fuori misura e controllo. I politici hanno creato un sistema normativo che tutela più chi viola la legge che le vittime. Ma nessuno ne parla, né pensa a riforme che invertano la tendenza.

Il decreto del governo accelera e deflaziona il processo civile: primo grado in un anno e arretrati dimezzati in tre anni.
E perché non in sei mesi? Se bastasse scrivere quanto deve durare un processo per farlo durare meno, ci avrebbe già pensato qualcun altro. Vengono in mente i Promessi Sposi, quando il gran cancelliere Antonio Ferrer ‘vide, e chi non l’avrebbe veduto? che l’essere il pane a un prezzo giusto è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla… Fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo’. Domanda: e se, approvato il decreto sulle cause di primo grado in un anno, le cause durano più di un anno, che si fa? Siamo seri: oggi il debitore non paga il creditore perché gli conviene andare in causa e resistere in giudizio, così alla fine, se mai si dimostrerà che quei soldi li doveva, li pagherà dopo anni, e a un interesse molto minore di quelli che avrebbe versato alla banca se avesse chiesto un prestito per pagare subito.

Il decreto del governo vuole incoraggiare le parti ad affidarsi ad arbitri esterni, a un accordo fra i rispettivi avvocati, per non intasare i tribunali e fare prima.
Belle grida manzoniane che non tengono conto della realtà. Chi ha torto lo sa benissimo di avere torto: resiste in giudizio perché gli conviene. Se non voleva pagare prima, non pagherà neanche adesso. Perché mai dovrebbe arrendersi e pagare subito, quando può farlo tra molti anni, sempre ché il creditore riesca a dimostrare il proprio buon diritto? Idem l’imputato colpevole nel penale: lo sa benissimo di essere colpevole, ma invece di patteggiare la pena, si fa tutti e tre i gradi di giudizio, così magari arraffa la prescrizione.

Che cosa suggerisce, lei, per ridurre la durata dei processi?
Bisogna ridurne il numero, cambiando le norme per rendere non convenienti i giudizi e i ricorsi a chi ha torto o è colpevole. Cioè tutelare chi subisce un danno o un reato più di chi lo commette. E incentivare i cittadini a comportarsi bene, mentre in Italia il sistema incoraggia a comportarsi male. Ma nessuno ne parla. Anche perché dimezzare le cause e portarle al livello della Francia significherebbe dimezzare il reddito degli avvocati, che sono 250 mila e aumentano di 15 mila (finché non si metterà il numero chiuso nelle facoltà di Giurisprudenza). Dubito che una classe politica che non riesce a resistere alla debolissima lobby dei tassisti voglia davvero sfidare la potentissima lobby degli avvocati.

E nel penale?
Stesso discorso. L’incentivo a farsi processare e a ricorrere in tutti i gradi di giudizio si chiama prescrizione. Perché, secondo lei, negli Usa il 90% degli imputati si dichiara colpevole e patteggia? Perché, se un imputato si dichiara innocente, si fa processare col rito ordinario e poi si scopre che era colpevole, lo rovinano con pene così alte che agli altri passa la voglia di mentire. In Italia si può patteggiare senza dichiararsi colpevoli, e poi addirittura ricorrere in Cassazione contro il patteggiamento concordato col pm; intanto la prescrizione continua a correre e può scattare un minuto prima della sentenza definitiva. Il 15% dei ricorsi in Cassazione sono contro i patteggiamenti: ma si può andare avanti così?

Uno dei ddl del governo regala 2 anni ai giudici d’appello dopo la condanna di primo grado e 1 anno in Cassazione prima che scatti la prescrizione. Se però in appello la condanna viene annullata, il bonus è revocato.
Guardi, è molto semplice: la prescrizione deve smettere di decorrere dopo il rinvio a giudizio. Com’è già previsto nel processo civile (dove si ferma appena uno ti fa causa). È l’unico sistema efficace per scoraggiare i ricorsi dilatori e pretestuosi. Fra l’altro, solo la nostra Costituzione stabilisce il principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva. La Convenzione europea per i Diritti dell’uomo dice che uno è presunto innocente ‘fino a sentenza di condanna’: di primo, non di terzo grado. Da noi solo un fesso non impugna la prima condanna: se non lo fa, la sentenza diventa definitiva e, se è fuori, può finire in carcere; se invece è già in carcere, può uscire per decorrenza dei termini.

Un altro ddl del governo stringe le maglie della responsabilità civile dei magistrati: dicono che la legge attuale, la Vassalli del 1988, ha tradito il referendum di Craxi e Pannella.
Senta, non parlo per me perché, stando in Cassazione, sono il giudice di ultima istanza, dunque per la vulgata corrente ho ragione per definizione… Ma ragioniamo. Chi vuole la responsabilità diretta, consentendo alla parte o all’imputato di citare il suo giudice, non sa quel che dice: basterebbe fare causa e il giudice, anche se non ha fatto nulla di scorretto, per obbligarlo ad astenersi dal processo. E così a catena, col risultato che non si farebbe più nessun processo. Aggiungo che, nel sistema anglosassone, molto popolare in Italia soprattutto fra chi non lo conosce, i giudici non rispondono, punto. Salvo, si capisce, che commettano delitti.

Renzi dice: “Chi sbaglia paga”.
Bravo. Ma se uno fa l’autista in un ufficio pubblico, chi la paga l’assicurazione della sua auto? Lo Stato, mica lui. Noi ce la paghiamo da soli. Ma se venisse ampliata l’area della nostra responsabilità civile, costringendoci ad assicurarci per somme molto elevate, potremmo fare un’azione sindacale per farcele rimborsare dallo Stato: mica facciamo i giudici per divertirci, siamo al servizio dello Stato. Ogni paragone con altre professioni è improprio, perché noi, qualunque decisione prendiamo, scontentiamo sempre qualcuno: nel civile, una delle due parti; nel penale, l’imputato o la vittima. La nostra funzione è conflittuale per definizione, tant’è che mi meravigliano le statistiche che ci danno un consenso del 40%: dovremmo avere lo 0%. Se uno perde il processo, dà la colpa al giudice. Ma chi lo vince, non pensa che sia merito del giudice: pensa che gli abbia dato ragione perché lui l’aveva.

Le era mai capitato di un premier che, alle critiche dell’Anm, risponde: “Brrr che paura”?
Mah, neanche l’avessero minacciato di chissà quali conseguenze negative! L’Anm ha criticato il merito di alcune proposte del governo, tutto qui. E fra l’altro, pur solidale al 100 per 100 con l’Anm, io dissento quando chiede più risorse: fermo restando che i soldi non ci sono, più risorse significano più contenzioso. L’errore sta nel considerare la Giustizia un costo dello Stato: invece è una fonte di entrate. Fra multe, ammende e beni confiscati, ce ne sarebbe abbastanza per mantenere il costo del servizio giustizia. La Cassazione, per ogni ricorso inammissibile, infligge una sanzione di 1.000 euro circa: 250 mila euro al giorno solo per la VII sezione. Se lo Stato facesse qualcosa per incassarli, incamererebbe tanti di quei soldi che basterebbero a mantenere tutta la Cassazione. Invece incassa meno del 5%. Per non parlare degli enormi beni confiscati a corrotti, evasori e mafiosi: possibile che non riesca a farli fruttare? A costo di venderli, anziché lasciarli ai comuni che non hanno soldi per la manutenzione e li mandano in malora.

Ora al Csm arriva, come vicepresidente, il sottosegretario Legnini. Per la prima volta un membro del governo passa alla guida del vostro autogoverno.
Non voglio polemizzare. Osservo solo che il vicepresidente deve eleggerlo il Plenum del Csm.

È giusto anticipare da 75 a 70 anni la vostra età pensionabile?
Mah, lo slogan ‘largo ai giovani’ non ha alcun senso. Sia perché si scoprono centinaia di posti direttivi, dove gli attuali 72enni verranno sostituiti da 68enni. Sia perché i giovani non ci sono: ora in organico mancano 1300 magistrati. Sarebbe meglio prima bandire i concorsi per riempire i posti vuoti (tra bando, concorso, esami, tirocinio ed entrata in funzione passano 5 anni) e poi pensare all’età pensionabile. Che non è certo urgente. Il che rende incomprensibile il decreto legge.

Quali sono le prime due riforme che farebbe lei, se potesse?
Invece di occuparmi di cose inutili, abolirei il divieto di reformatio in peius in appello. Se ti condannano e ricorri, devi sapere che puoi essere condannato a una pena più alta. Come in Francia, dove solo il 40% delle condanne a pena detentiva da eseguire vengono appellate. In Italia non si può. Il che incentiva tutti a provarci: mal che vada, non rischiano niente, anzi non vanno in carcere a scontare la pena e magari si prendono pure la prescrizione. Perché non dovrebbero tentare? E poi abolirei il ricorso in Cassazione per manifesta illogicità della motivazione: basta e avanza quello per violazione di legge. In Gran Bretagna c’è un filtro rigoroso, tant’è che molti fascicoli di appello portano la stampigliatura loss of time, perdita di tempo. Negli Usa, per impugnare, devono esser d’accordo 4 giudici su 9 della Corte Suprema, che infatti esamina meno di 100 ricorsi all’anno. La nostra Cassazione, 100 mila.

E nel civile?
Imporrei un tasso di interesse giudiziale molto più salato di quello bancario, per scoraggiare i debitori dal resistere in giudizio. Pensi che nelle Commissioni tributarie che esaminano i ricorsi dei contribuenti è previsto un contributo unificato in base al valore della causa. Ma molti non pagano e lo Stato avvia complicate procedure di recupero: basterebbe imporre che il contributo sia versato subito, sennò il ricorso è inammissibile. Come diceva Adam Smith, ‘non è dalla bontà del fornaio, del birraio, del macellaio che dobbiamo attenderci il nostro pranzo, ma dalla loro considerazione per i propri interessi’.

AVVERTIMENTO AL MONDO. LA FOLLIA DEGLI USA E DELLA NATO

12 settembre 2014 Lascia un commento

AVVERTIMENTO AL MONDO. LA FOLLIA DEGLI USA E DELLA NATO

di Paul Craig Roberts*

Fonte: http://www.counterpunch.org

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Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.orge l’autore della traduzione Fa Ranco

Herbert E. Meyer, un pazzo che per un periodo aveva occupato il ruolo di assistente speciale del direttore della CIA durante l’amministrazione Reagan, ha scritto un articolo invitando all’assassinio del presidente russo Vladimir Putin. Se dobbiamo “farlo uscire dal Cremlino con i piedi in avanti e un foro di proiettile nella nuca, non avremmo problemi”.

Come il folle Meyer spiega, il delirio che Washington ha diffuso nel mondo non ha limiti. Josè Manuel Barroso, messo alla presidenza della Commissione Europea come burattino degli USA, ha dissimulato la sua recente telefonata confidenziale con il presidente Putin dicendo ai media che Putin aveva lanciato la sua minaccia: “Se volessi, potrei prendermi Kiev in due settimane”.

Chiaramente, Putin non ha minacciato nessuno. Una minaccia non sarebbe coerente con l’intero approccio attendista di Putin alla minaccia strategica che Washington e i suoi burattini della NATO hanno mosso alla Russia in Ucraina. Il rappresentante permanente della Russia all’UE, Vladimir Chizhov, ha detto che se la menzogna di Barroso non verrà ritrattata, la Russia divulgherà la registrazione dell’intera conversazione.

Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la disparità tra le forze russe ed ucraine sa più che bene che alla Russia servirebbero 14 ore e non 14 giorni per prendersi l’Ucraina. Basta ricordarsi cosa successe all’armata georgiana addestrata ed armata da USA e Israele quando Washington aveva piazzato i suoi bambolotti georgiani nell’Ossezia del sud. Le forze georgiane sono collassate sotto il contrattacco russo in 5 ore.

La bugia che la marionetta di Washington Barroso ha raccontato non è degna di una persona rispettabile. Ma dove in Europa c’è qualcuno di rispettabile al potere? Da nessuna parte. Le poche persone serie sono del tutto fuori dai centri di potere. Consideriamo il segretario generale della NATO, Anders Rasmussen. Era il primo ministro della Danimarca che ha capito che avrebbe potuto salire oltre diventando una marionetta degli USA. Come primo ministro aveva fortemente supportato l’invasione illegale dell’Iraq, dichiarando “sappiamo che Saddam Hussein possiede armi di distruzione di massa”. Ovviamente lo stolto non aveva idea di quello che stava dicendo e cosa poteva importare se l’Iraq avesse quelle armi o meno. Molte nazioni possiedono armamenti di quel tipo.

Secondo la regola che chi serve Washington fa carriera, Rasmussen ne ha fatta.

Il problema del mettere in certe posizioni dei mentecatti è che essi rischierebbero il mondo per la loro carriera. Ora Rasmussen ha messo a rischio la sopravvivenza di tutta l’Europa Occidentale ed Orientale. Rasmussen ha annunciato la creazione di una forza speciale di attacco capace di operazioni lampo in Russia. Ciò che il burattino di Washington chiama “il piano di azione immediata” è giustificato come una risposta “all’atteggiamento aggressivo della Russia in Ucraina”.

La “forza d’attacco fulminea” di Rasmussen verrà spazzata via così come ogni capitale europea. Che tipo di idiota provoca in questo modo una superpotenza nucleare?

Rasmussen parla dell’“atteggiamento aggressivo della Russia” ma non ne ha prova. La Russia se ne è stata in disparte mentre il governo marionetta di Kiev ha accerchiato e bombardato insediamenti civili, ospedali, scuole e lanciato una serie costante di bugie contro la Russia. La Russia ha respinto le richieste delle province ora indipendenti del sud e dell’est Ucraina, in passato territori russi, di venire nuovamente annesse. Come i lettori sanno, giudico la decisione di Putin un errore, ma gli eventi potrebbero dire che mi sbagliavo e per me va bene. Per ora, il fatto è che ogni atto di aggressione è una conseguenza del supporto di USA e UE ai nazisti di Kiev. Sono le milizie naziste ucraine ad attaccare i civili nei territori che appartenevano alla Russia. Molti militari ucraini hanno disertato a favore delle repubbliche indipendenti.

Sì, nazisti. L’Ucraina dell’ovest è la dimora delle divisioni ucraine delle SS che combatterono al fianco di Hitler. Oggi le milizie organizzate dal Right Sector e altri partiti politici di destra indossano la divisa delle divisioni ucraine delle SS. Queste sono le persone che Washington e l’UE sostengono. Se i nazisti ucraini potessero vincere contro la Russia, e non possono, si rivolterebbero all’occidente, esattamente come l’ISIS, creato da Washington, e che Washington ha sguinzagliato contro Siria e Libia. Ora l’ISIS sta ricreando un Medio Oriente unito e Washington non sembra in grado di reagire.

William Binney, un ex ufficiale dell’NSA ha scritto alla cancelliera tedesca Angela Merkel avvertendola di difendersi dalle menzogne di Obama al prossimo summit della NATO in Galles. Gli ufficiali dell’intelligence statunitense avvertono la Merke di ricordarsi delle “armi di distruzione di massa” irachene e di non farsi ingannare nuovamente, entrando stavolta in conflitto con la Russia.

La domanda è: chi rappresenta la Merkel? Washington o la Germania? Fino ad ora ha rappresentato Washington, non gli interessi dell’economia tedesca, non il popolo tedesco, non la Germania come nazione. Qui si può vedere una protesta a Dresda in cui una folla ostacola un discorso della Merkel gridandole “kriegstreiber” (guerrafondaia), “bugiarda” e “nessuna guerra contro la Russia”.

Il mio professore di dibattito all’università, che è diventato un alto ufficiale del Pentagono con il compito di terminare la guerra in Vietnam, in risposta alla mia domanda su come Washington faccia sempre fare all’Europa ciò che vuole ha detto “soldi, diamo loro soldi”. “Aiuti stranieri?”, ho chiesto. “No, diamo ai politici europei un sacco di soldi. Loro sono in vendita. Noi li compriamo. Loro ci rendono conto”. Forse ciò spiega i 50 milioni di dollari guadagnati da Blair in un anno con il suo ufficio.

I media occidentali, la più grande casa chiusa del mondo, agognano la guerra. Il consiglio editoriale del Washington Post, un giornale-trofeo nelle mani del proprietario miliardario di Amazon.com, ha pubblicato un editoriale il 31 di agosto che sbrodolava tutte le bugie di Washington (e del Post) su Putin.

Il proprietario di Amazon dovrebbe sapere come commercializzare prodotti su Internet, ma non ha speranza se si tratta di dirigere un giornale. I suoi editori al Post hanno reso il suo trofeo uno zimbello mondiale.

Qui ci sono le accuse senza senso mosse dagli editori che il miliardario ha messo a capo del suo quotidiano:

Putin, amaramente risentito per la perdita di potere dal collasso del blocco sovietico, ha “resuscitato la tirannia” della Grande Menzogna per ricostituire l’impero russo. “Milizie ucraine sovvenzionate dai russi” sono responsabili dell’abbattimento del volo malese a luglio”. I “media controllati dal governo russo” hanno mentito e mistificato alla popolazione russa i responsabili dell’accaduto.

“In assenza di report liberi ed indipendenti, pochi russi realizzano che soldati ed armamenti russi sono in azione in Ucraina dell’est, anche se (come in Crimea) mostrano uniformi e veicoli riportanti segni identificativi e targhe. Senza media liberi, i russi sono abbandonati a difendersi da soli contro una tempesta di informazioni mendaci”.

“La Grande Bugia di Putin mostra come sia importante sostenere la stampa libera dove ne esiste una e sbocchi come Radio Free Europe che portano la verità a chi ne ha bisogno”.

Come ex editore del Wall Street Journal, posso dire con assoluta certezza che una propaganda di questo tipo, spacciata per editoriale sarebbe conseguita nell’immediato licenziamento di tutte le persone coinvolte. Nei miei giorni nello staff del Congresso, il Washington Post veniva considerato una risorsa della CIA. Ora è decaduto ben sotto quello status.

Ho visto molta propaganda nei media nella mia vita, ma questo editoriale è la ciliegina sulla torta. Mostra come o gli editorialisti siano degli ignoranti oppure completamente corrotti e come diano per scontato che i loro lettori siano completamente ignoranti. Se unità militari russe fossero in azione nell’Ucraina dell’est, la situazione sarebbe esattamente come Alexander Zakharchenko e Dmitry Orlov dicono. L’Ucraina non esisterebbe più. L’Ucraina sarebbe ancora una parte della Russia, come secoli prima che Washington sfruttasse il crollo dell’Unione Sovietica per separarla.

La domanda è: quanto durerà la pazienza russa di fronte alle continue bugie e provocazioni dell’occidente? Non importa quanto la Russia si contenga, è accusata del peggio. Dunque, potrebbe anche reagire al peggio.

A che punto il governo russo deciderà che le menzogne di Washington, con quelle dei suoi bambolotti europei e dei media occidentali, rendono inutili gli sforzi della Russia di risolvere la situazione con la diplomazia e un comportamento non aggressivo? Dato che la Russia è continuamente falsamente accusata di invadere l’Ucraina, quando il governo russo deciderà che visto che la propaganda occidentale ha stabilito che la Russia ha invaso l’Ucraina, ha imposto sanzioni e installato nuove basi militari ai confini russi per la presunta invasione, potrebbe proseguire e sbarazzarsi del problema che Washington gli sta creando e invadere davvero?

Non c’è nulla che la NATO possa fare se la Russia decide che un’Ucraina nelle mani di Washington è una minaccia strategica troppo grande per i propri interessi e la reincorporasse dove già si era trovata per secoli. Qualsiasi forza d’intervento della NATO inizierebbe una guerra che non potrebbe vincere. La popolazione tedesca, memore delle conseguenze della guerra contro la Russia, ribalterebbe il governo burattino di Washington. La NATO e la UE crollerebbero se la Germania si staccasse dall’assurdo costrutto asservito agli interessi di Washington a spese dell’Europa.

Una volta che ciò accada, il mondo avrebbe pace. Ma non fino a quel momento.

Per coloro ai quali interessa capire come funziona il mondo della menzogna, il governo-burattino di Washington a Kiev attribuisce la sconfitta delle proprie forze militari nella repubblica di Donetsk alla presenza di militari russi nelle forze nemiche. Questa è la propaganda sfoggiata dagli ucraini dell’ovest e dalle puttane della stampa occidentale [“presstitute” gioco di parole tra press-stampa e prostitute-prostituta – NdT], un manipolo di prostitute che ripetono a pappagallo la propaganda senza alcun tipo di indagine. Kiev non può ricevere sovvenzioni dal FMI con cui pagare i suoi debiti ai creditori occidentali finché l’Ucraina è in guerra. Quindi l’Ucraina dice all’FMI l’opposto: la Russia non ha attaccato l’Ucraina.

I media occidentali non si interessano ai fatti. Bastano le bugie. Solo le bugie.

Il Washington Post, il New York Times, la CNN, Fox “news”, Die Welt, la stampa francese, quella inglese, pregano in coro: “per favore Washington, dacci altre bugie sensazionali da sbandierare. La nostra circolazione ne ha bisogno. Chissenefrega della guerra e della razza umana, se in cambio possiamo avere stabilità finanziaria”.

Justin Raimondo avverte che Washington sta piantando i semi per una Terza Guerra Mondiale.

* Paul Craig Roberts è un ex assistente segretario del Tesoro USA e editore associato del Wall Street Journal. “How the economy was lost” è ora disponibile da CounterPunch in formato elettronico. Il suo ultimo libro è “How America was lost”.

Categorie:cronaca, mondo, opinioni

Renzi: «Pd speranza in Europa».

10 settembre 2014 Lascia un commento

Renzi: «Pd speranza in Europa». Patto con gli Euro-dem

dalla nostra inviata Emilia Patta7 settembre 2014Commenti (15)
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Matteo Renzi e Pedro Sanchez (Ansa)
Matteo Renzi e Pedro Sanchez (Ansa)
BOLOGNA – È l’ora di fare scelte diverse in Europa, è l’ora di cambiare la politica economica europea per dare più forza alla «crescita» rispetto alla «stabilità». Matteo Renzi chiude la festa dell’Unità di Bologna con un comizio classicamente da segretario, toccando tutte le corde care al popolo democratico.

Un anno fa proprio qui a Bologna, quando ancora a Largo del Nazareno sedeva Guglielmo Epifani e a Palazzo Chigi Enrico Letta, il popolo democratico della rossa Emilia lo aveva acclamato di fatto nuovo leader con un’accoglienza calorosissima e per molti inaspettata. «Il futuro è un posto bellissimo, andiamoci tutti insieme – torna a dire dopo un anno Renzi -. Se non ce la fa il Pd non ce la fa nessuno, in gioco non è il futuro di un segretario ma il futuro del Paese. Io non mollo di un centimetro, questo Paese lo cambiamo costi quel che costi».

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Ma ora, da premier che guida l’Italia nel semestre europeo, il segretario sa che la partita vera per uscire dalla stagnazione e far ripartire il Paese si gioca a Bruxelles. Da qui la sfida al popolare Jean-Claude Juncker, nuovo presidente della Commissione Ue proprio grazie all’accordo con il Pse di cui il Pd con il suo 41% costituisce il primo partito e il traino.
«Juncker, anche per avere il nostro appoggio alla sua candidatura, ha annunciato investimenti in Europa per 300 miliardi – scandisce Renzi dal palco -. In Italia questi miliardi sappiamo dove metterli: nell’edilizia scolastica, nelle reti a banda larga di nuova generazione, nelle tecnologie ambientali, nelle opere contro il dissesto. Noi sappiamo dove spendere. Juncker ha detto “Io metto 300 miliardi di euro”: ecco, noi dobbiamo chiedere conto di questa promessa perché altrimenti sono solo parole. Juncker entra in carica il primo novembre, noi chiederemo di essere molto puntuali».
E soprattutto, torna a ripetere, «bisogna anche avere il coraggio di dire che queste misure sono fuori dal Patto di stabilità. Abbiamo dei tempi serrati e noi faremo sentire la forza di essere il partito più votato in Europa».

Quanto alla politica monetaria, Renzi plaude alle ultime scelte di Mario Draghi. Ma Draghi, ricorda, ha anche invitato le banche europee a mettere a disposizione delle imprese la maggiore liquidità immessa nel mercato. «Ora tocca alle banche», dice il premier.
Non a caso la sfida a Juncker (e alla cancelliera Angela Merkel, sia pure non nominata) arriva dopo il summit con i giovani socialisti europei in “camicia bianca” come tacito omaggio a Tony Blair: protagonisti del dibattito sull’Europa che ha preceduto il comizio finale di Renzi sono il premier francese Manuel Valls, il giovane e bel leader del Partito socialista spagnolo Pedro Sanchez, il segretario generale del Partito socialista europeo Achim Post, il leader dei laburisti e vicepremier olandese Diederik Samsom. Una sorta di «lobby per cambiare la politica economica in Europa superando la fase dell’austerity», come ha avuto modo di commentare a distanza l’economista francese Jean-Paul Fitoussi.
C’è la partita per la flessibilità in Europa, ma c’è anche il partito. Dopo le polemiche dei giorni scorsi sono tutti a Bologna, vicini al segretario, a cominciare dall’ex leader Pier Luigi Bersani. «Dobbiamo trovare il modo di stare insieme», dice Renzi proponendo di aprire la nuova segreteria a tutte le aree. Una proposta che ha, però, due condizioni: nessun diritto di veto e nessuna rivincita sul congresso. «Se in questo partito qualcuno vuole la rivincita l’avrà nel novembre 2017, se vuole lavorare può farlo da domani mattina», chiarisce.

E l’invito, a quanto si apprende, è stato già accolto e giovedì, dopo 6 mesi, il Pd avrà la nuova segreteria nella quale entreranno anche il dalemiano Enzo Amendola e la bersaniana Micaela Campana. Renzi offre alla minoranze le tanto agognate modifiche all’Italicum: il superamento delle liste bloccate con i collegi uninominali o con le preferenze e l’uniformazione delle soglie di ingresso al 4% (ora sono all’8% per i partiti non coalizzati) in modo da non lasciare fuori dal Parlamento importanti forze politiche.

Ma non a caso Renzi non accenna neanche per sbaglio ad uno dei temi caldi del dibattito estivo, ossia il superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che per la sinistra dem è ancora un totem difficile da abbattere. Il jobs act può attendere.

Categorie:opinioni, politica

Da Cernobbio il pm ha bocciato la bozza di riforma del governo.

10 settembre 2014 Lascia un commento

Davigo: “Provvedimenti sul civile inutili. Troppo forte la lobby degli avvocati”
Da Cernobbio il pm ha bocciato la bozza di riforma del governo. “Dimezzare la durata dei procedimenti va contro gli interessi dei legali che sono tanti e agguerriti, con tutto l’interesse alla proliferazione dei processi. Oltretutto sono ben rappresentati nella classe politica”

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 8 settembre 2014Commenti (565)
Piercamillo Davigo
Più informazioni su: Cernobbio, Forum Ambrosetti, Maria Elena Boschi, Matteo Renzi, Piercamillo Davigo.

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“La riforma della giustizia, per quanto riguarda il civile, non riuscirà minimamente a incidere sulla durata dei processi”. Parola di Piercamillo Davigo, che ieri, dal forum Ambrosetti di Cernobbio, ha bocciato la bozza pre-approvata dal governo il 29 agosto e il conseguente entusiasmo del premier Renzi. Che, il giorno della presentazione del provvedimento, aveva annunciato: “I processi civili dureranno la metà”. Per Davigo, però, non sarà così. Il motivo? All’interno “non c’è nulla di concreto” sui tempi biblici dell’iter processuale. Non solo. Il magistrato ha anche individuato un possibile motivo dell’impotenza del provvedimento: il peso specifico degli avvocati e la loro capacità di incidere sulla politica. In tal senso Davigo non ha usato mezzi termini: “La classe politica non è riuscita a piegare una lobby debole come quella dei tassisti, figuriamoci se lo farà con una lobby forte come quella dei legali” ha detto il pm, che, dopo aver ricordato i dati impressionanti sulla giustizia civile italiana e il suo indice di incidenza sulle famiglie, ha fornito la sua ricetta per superare l’impasse.

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La chiave, per Davigo, è scoraggiare le cause facili: “Si devono introdurre clausole penalizzanti per le cause temerarie, qualche misura che scoraggi il cittadino dal ricorrere alla giustizia per qualsiasi inezia – ha detto il pm – Le cause vanno fatte per le questioni serie, quando c’è una ragionevole possibilità di vincere. Ma questo va contro gli interessi degli avvocati che sono tanti e agguerriti, con tutto l’interesse alla proliferazione dei processi. Oltretutto sono ben rappresentati nella classe politica”.

Una presa di posizione che non è andata giù a Maurizio De Tilla, presidente dell’Associazione nazionale avocati. Presente a Cernobbio, ha preso la parola dalla platea e ha attaccato la ‘classe’ dei magistrati, sostenendo che la riforma sia “bloccata per la resistenza dei pm, che hanno paura di interventi ad hoc su responsabilità e intercettazioni.” Più costruttivo il parere del ministro Boschi, anche lei avvocato. Seduta al fianco di Davigo, ha ricordato al pm che ultimamente “sono stati presi provvedimenti che rendono molto più costoso fare causa”. Ma per Davigo la realtà resta un’altra: “Voi avvocati siete troppi. Andrebbe istituito il numero chiuso anche a giurisprudenza come è stato fatto a medicina”.